Italia un governo costituzionale, per una Costituzione deficitaria della volontà popolare

Quando pensiamo alla migliore forma di governo che un paese si possa dare, passiamo in rassegna i maggiori ordinamenti politici mondiali per cercare di capire se la nostra forma di governo sia veramente la migliore che si possa auspicare.
 
La risposta non è tanto facile, né nel caso in cui l’accettazione più esplicita sia un’affermazione positiva, tanto banale.

 
Sicuramente la democrazia parlamentare può definirsi come la miglior rappresentazione della volontà popolare in seno al Parlamento, per la formazione delle leggi atte a regolare la società stessa.
 
Questa affermazione è tanto più vera, quanto il Parlamento esprima “ad partes” la volontà popolare, nella formulazione di nuove legge o nella modifica di quella già esistenti.
 
Particolare attenzione dovrebbe essere posta soprattutto sulle riforme che riguardano le leggi costituzionali, in quante emanate dai nostri padri fondatori dell’attuale Costituzione italiana, nello spirito di garantire l’uguaglianza e l’imparzialità delle leggi stesse nei confronti di tutta la collettività.
 
Scusate il preambolo prolisso, ma necessario per contestualizzare il momento storico-politico cronico che l’Italia sta vivendo da anni.
 
Il Parlamento ha finora disatteso le osservanze indette dal Capo dello Stato, (in sede di riconferma della nomina da parte di Napolitano), per la riforma delle legge costituzionali di massima necessità ed urgenza.
 
Napolitano ha sentito il dovere morale di proseguire nel suo incarico, nonostante i suoi insistenti precedenti dinieghi, solo per consentire il percorso di riforme costituzionali in tempi brevi, per poi poter sciogliere le camere ed indire nuove elezioni, e far sì di poter insediare un nuovo governo costituzionalmente eletto dal popolo.
 
Cosa è successo? Tutti lo sappiamo i nostri parlamentari si sono agiati negli allori per proseguire un governo “provvisorio”, ma a tempo indeterminato, eludendo la volontà popolare come espressione di libero arbitrio nella designazione di un nuovo governo.
 
Dal 20 aprile 2013 giorno in cui Napolitano ha riconfermato il suo mandato alla carica di primo cittadino italiano, e richiamato alle responsabilità giuridiche il Parlamento, per avviare il percorso di riforme costituzionali, per il bene del paese, nulla o poco è stato fatto.
 
Le vicende si sono un’altra volta ingrovigliate attorno alle sorti di Berlusconi e dei fatti giudiziarie ad esso legato, si è usato il parlamento per discutere di questioni non proprio attinenti alle funzioni per cui esso è preposto, si è cercato di dilazionare o evitare le riforme delle leggi costituzionali, ritenute fondamentali per il funzionamento del paese stesso, scopo per cui questo Parlamento oggi sussiste, si è vissuta l’anomalia costituzionale (la formazione di un governo provvisorio); come tacita manifestazione popolare.
 
I cittadini cosa hanno potuto fare; se non essere spettatori passivi di una volontà sovra-popolare, nata realmente per fini provvisori, ma intenzionalmente protratta ad oltranza, non per gli interessi comuni del popolo, ma bensì per la salvaguardia delle cariche delle poltrone e dei posti parlamentari.
 
Da tutto ciò si comprende l’amarezza ed il disgusto del Capo dello Stato, il quale più volta ha esplicitamente dichiarato al Parlamento di non essere legato al potere politico, e lo ha anche dimostrato quando era pronto a non riconfermare il suo mandato.
 
Dovremmo valutare meglio e con attenzione cosa sta succedendo nel nostro paese, ci sono parlamentari che esplicitamente hanno dichiarato con frasi alquanto colorite, che il posto ricoperto lo hanno realmente sudato, come se per diventare parlamentare bisogna superare un concorso pubblico per titoli ed esami, o chiedere raccomandazioni ed intercessioni presso alte cariche dirigenziali.
 
Esami direi non proprio, ma raccomandazioni si, perché i sistemi di governi che si sono susseguiti in Italia, dopo le ultime reali elezione politiche del 2013, hanno alimentato quel percorso di escamotage politici, per cui i parlamentari restano in carica ed al suo posto, (anche se con incarichi diversi), solo perché il Parlamento lo raccomanda, senza chiederne ragioni alla volontà popolare.
 
Idea macchinosa, ma funzionante, inoltre non si spiegherebbe perché ogni parlamentare non stia svolgendo il compito per il quale genuinamente era stato chiamato ovvero: riformare il paese.
 
La politica in Italia è cambiata, e di molto nell’ultimo ventennio, il sistema partitico non funziona più, è per così dire una “persona giuridica” totalmente fallimentare.
 
C’è chi ha creato nuovi movimenti politici negli ultimi anni, i quali si sono rivelati veri e propri fuochi di paglia, bisogna cambiare rotta, per cambiare l’Italia, seguire chi effettivamente ha intenzione di cambiare le cose, e non un sistema il quale (come si è visto), travisa le attinenze del proprio programma politico, per poi dirigere l’azione politica verso le riforme “ad personam”, o non congruenti con quanto esplicitamente sottoscritto in fase di propaganda elettorale.
 
Bisogna dare fiducia all’uomo, al singolo in grado realmente di cambiare le cose, ritornare ad un sistema elettorale diretto e non proporzionale, credere all’uomo non al sistema, perché il sistema porta la politica del garantismo incentrata alla sua stessa esistenza, anche a costo di sovrastare la volontà popolare.
 
La domanda da porsi è semplice ed unica: siamo ancora in democrazia?
 
Dove per democrazia s’intende la volontà espressa dal popolo, il quale elegge i governi per volontà popolare, ponendo la piena fiducia ad un volto ed non ad un sistema.
 
Colui il quale viene chiamato a rappresentare il paese lo faccia nel segno dell’imparzialità ed entro i limiti della legalità ad esso attribuita, ma soprattutto facendosi garante che la legge si applichi nei confronti di tutti in egual misura, senza ricorrere a stratagemmi costituzionali per influenzare il decorso o il risultato di una sentenza.
 
Davide Lombino
 

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