L’Unità emblematico giornale di sinistra rischia la liquidazione per insolvibilità debitoria

Era il 12 febbraio 1924 quando un giovane politico italiano, uno dei più importanti pensatori del XX secolo, di nome Antonio Gramsci, militante nel Partito Comunista Italiano, (di cui peraltro ne fu fondatore), decise di fondare un giornale che rappresentasse la pura cultura di sinistra, il cui nome divenne fonte di autorevolezza mediatica editoriale: l’Unità.

L’Unità fu organo del Partito Comunista Italiano fino al declino del partito stesso, successivamente parte delle quote di capitale sono state acquistate dal Partito Democratico, nonostante il giornale non fece più parte quale organo ufficiale di partito.
Il giornale nel corso della sua vita ha attraversato diverse crisi finanziarie alle quali è riuscito sempre a far fronte.
Dallo scorso 29 luglio 2014, in seguito alla riunione del CDR, gli azionisti del giornale non hanno trovato l’intesa sui percorsi di risanamento proposti dai liquidatori, e di conseguenza hanno deciso di comune accordo di sospendere le pubblicazioni del giornale a partire dalla data odierna 1 agosto 2014.
Scelta difficile non solo per i lettori del giornale, ma anche per il personale dipendente (circa un’ottantina), il quale faticosamente negli ultimi tre mesi ha continuato a lavorare per garantire la pubblicazione quotidiana del giornale, senza percepire alcuna retribuzione, nella speranza che la delicata situazione, potesse avere riscontri positivi, dopo aver affrontato tre interi mesi di lotta per la sopravvivenza.
La chiusura dell’Unità metta a segno un duro colpo non solo per l’editoria nazionale, ma anche pone fine ad una voce autorevole della stampa italiana, e conferma il percorso di crisi di cui quest’ultima è direttamente interessata.
La storia è ciclica e si ripresenta sotto altre forme, ripercorre a ritroso in questo caso le sorti poco fortunate di un’altra testata giornalistica nella quale scrissero voci autorevoli del giornalismo e della letteratura nazionale, il giornale L’Ora.
Anche se la diffusione del giornale siciliano fu a carattere regionale, ed i percorsi storici che ne ebbero disposto la chiusura furono differenti, si possono riscontrare ad oggi, gli stessi fattori somatici di criticità economica, e l’Unità nella nostra contemporaneità, ripercorre a ritroso nel tempo le sorti inesorabili della prestigiosa testata giornalistica palermitana fondata dalla famiglia Florio.
Unica differenziazione rilevante resta il fattore tempo, infatti l’asso temporale della vita media dei due giornali sono stati differenti.
 L’Ora chiuse i battenti nel lontano 9 maggio 1992, nonostante le vane speranze nel 2000 di far rivivere il giornale palermitano, l’Unità si appresta a seguire la stessa triste sorte.
Come la Costa Concordia approdata in questi giorni al porto di Genova, così l’Unità da imponente nave crociera dell’editoria nazionale, viene avviato al disarmo completo, triste paragone questo, dalle identiche finalità.
Nel sito ufficiale della testata giornalistica si legge esplicitamente che il giornale non pubblicherà più al partire dal primo agosto, ma leggendo oltre vi è altresì scritto: “Fate girare la voce: questo non è l’ultimo numero”.
Segno chiaro ed inequivocabile che c’è ancora la volontà da parte di molti dipendenti, manager, lettori, abbonati e simpatizzanti, di rianimare l’anima di un giornale simbolo dell’Italia laburista, ed evitarne la definitiva decadenza tipografica, per delegare le memorie editoriali alle pagine dei libri di storia dell’editoria italiana.
In realtà la partita non è definitivamente chiusa, le sorti del giornale saranno rimesse nelle mani del tribunale, il quale sarà tenuto a nominare un commissario straordinario che dovrà decidere le sorti del giornale, valutando le realistiche opportunità di trovare nuove fonti finanziarie per ricapitalizzare la testata giornalistica.
Lo scenario che si delinea potrà imboccare due differenti strade.
La prima, ovvero quella auspicabile, trovare nuove risorse di ricapitalizzazione finanziaria, con conseguenziale avvio di un nuovo percorso di rilancio aziendale, contravvenendo all’assurda regola del 91% prevista dallo statuto della Nie, il quale è stato l’ostacolo principale ad ogni tentativo di rilancio del giornale.
La seconda meno piacevole, non trovare finanziatori disposti a credere nel rilancio aziendale, pertanto non ricapitalizzando l’azienda, quest’ultima non sarà in grado di poter risanare la propria posizione debitoria, la cui inevitabile conseguenza sarà deliberare la liquidazione del giornale.
La triste verità in tutto questo resta la debolezza settoriale in cui vessa il mondo dell’editoria italiana, la quale sta attraversando un periodo storico molto delicato e controverso.
Definire l’attuale crisi soltanto economica, è semplicemente minimalista, altresì riguarda una forte depressione culturale.
Sempre meno persone si acculturano, leggono giornali e libri, nonostante abbiamo in Italia un alto indice di laureati, la scuola a qualsiasi ordine e grado fornisce nozionismo, ponendo le basi alla cultura ma non l’intera struttura.
Abbiamo relegato l’editoria ad una posizione marginale del settore economico, e ciò è inammissibile, in quanto resta un settore di base per porre le fondamenta ad una società democraticamente matura e predispone la continuità culturale, la quale identifica inequivocabilmente la propria identità sociale nei confronti di altre culture, espressa sotto diverse forme d’informazione, raggruppando al suo interno la diversità d’opinione e la pluralità culturale che intrinseca nell’uomo, la quale ci rende diversi gli uni dagli altri.
Davide Lombino

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