No Tav ennesima azione terroristica messa in atto presso la sede giornalista La Stampa

Una bomba mascherata da hard disk con tanto di cavetto di collegamento; pronta ad esplodere appena fosse stata collegata ad una fonte di corrente; è stata recapitata a Torino presso la sede del giornale La Stampa. 

Quello messo in azione è un ennesimo atto di rivendicazione terroristica operata dal gruppo dei no Tav della Val di Susa ai danni del giornalista dell’omonimo giornale Massimo Numa che da tempo si occupa delle tematiche che stanno interessando la realizzazione della Tav. 

Questo genere di attentato non è il primo messo in atto; ma bensì il secondo nel giro di sei mesi. Il 9 aprile scorso presso la sede dello stesso giornale, era stato recapitato un’altra busta contenete un astuccio per cd; dal quale si poté notare al suo interno la presenza di alcuni fili elettrici. In quella occasione la bomba non esplose solo per cause fortuite.

Tutto ciò lascia comprendere come il tema Tav sia molto rovente e di difficile gestione. Resta inaudibile pensare che un progetto che riguarda la costruzione di un’opera così importate per la viabilità inter-europea; possa sfociare in forme di protesta estremiste ed totalmente antidemocratiche; come quelle messe in atto dal movimento estremista no Tav. 

In passato sono state messe in atto anche azioni di sabotaggio ai danni delle società appaltate per le esecuzioni dei lavori presso i cantieri dell’alta velocità stessa. Si è cercato di arginare ed isolare quanto più possibile il fenomeno; ma di tempo in tempo la situazione è peggiorata; fino ad assumere forme degenerative; sfociando in vere imprese terroristiche per dare forza a prese di posizioni estremistiche; che fanno anche presagire scenari e motivazioni molto più profondi e variegati; mascherati da una causa di deturpazione ambientalistica; quale i no Tav perorano; al fine di rivendicare i propri diritti per la non realizzazione di un’opera di così vitale importanza non solo per le comunità locali; ma anche per questioni commerciali che abbracciano tutto il territorio nazionale italiano e francese. 

In Val di Susa ci sono nette contrapposizioni sociali inerenti alla creazione dell’opera; che ha creato nel tempo squilibri di pacifica convivenza all’interno della comunità montana stessa; creando nette separazioni e contrasti anche violenti; tra i cittadini stessi; ovvero tra coloro che intendono avallare la creazione dell’opera e coloro che invece vi si oppongono energicamente. Una simile controversa situazione sociale; è un atto non consono ad una società cosiddetta “civile”; dove ogni giorno ci si adopera per migliorare l’emancipazione femminile; per l’uguaglianza dei diritti tra sessi; dove si lotta per la piena accettazione ed integrazione degli omosessuali; come frutto di una società moderna ed emancipata, risolvere il problema dell’integrazione razziale sulle diversità etniche che compongono la nostra penisola e frutto di un mondo globalizzato; ma quando scorgiamo avvenimenti come quelli messi in atto dai no Tav; sembrano riportare l’orologio cronologico temporale a decine di anni addietro; e precisamente agli anni del terrorismo pure che ha riempito le pagine di cronaca della storia degli anni ’70 e ’80 italiani; dove l’unico intento (ieri come ora) era la creazione di disordini sociali che fecero piombare la penisola italiana a forme sociali barbariche e nibelunghe. 

Ecco che anche l’attenzione mediatica sulla questione alta velocità; diventa evento di estrema minaccia lesiva; che sfocia in forme di protesta non degne di un paese civile e democratico come l’Italia. La solidarietà espressa dalle istituzioni; non basta ad arginare un fenomeno locale sempre più ampio; che ha come scopo la destabilizzazione sociale di un’intera collettività. Occorre che le istituzioni intraprendano azioni atte a salvaguardare non solo chi si adopera alla realizzazione della Tav; ma anche tutti coloro che orbitano nell’influenza d’azione dell’opera stessa; che ne curano gli interessi anche mediatici ciò al fine di portare a termine un opera iniziata nel 1989 su proposta del governo francese al nostro allora Presidente del Consiglio dei Ministri Ciriaco De Mita; e a distanza di 24 anni non ancora terminata.


Davide Lombino

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