Brasile 2014: Finisce il sogno azzurro, una nazionale spenta e priva d’iniziativa, apre la via alle polemiche e recriminazioni

L’Italia è definitivamente fuori dal mondiale brasiliano, dopo l’ultima deludente partita del girone che l’ha vista impegnata contro l’Uruguay, dove la posta in palio era il passaggio del turno agli ottavi di finale.

Gli azzurri non sono mai parsi veramente in partita, hanno prodotto una prestazione alquanto deludente e sconcertante, abbiamo assistito ad un foto replay di ciò che accadde quattro anni fa in Sudafrica 2010, dove ancora una volta la nazionale italiana non andò oltre il proprio girone di qualificazione, ma con una tendenza decisamente negativa rispetto allo scorso mondiale.


In Sudafrica l’Italia venne eliminata con due pareggi ed una sconfitta, in questo mondiale ha ottenuto una vittoria ( peraltro con la peggiore Inghilterra mai vista, due sconfitte ed un pareggio) e due sconfitte, segni inequivocabili della crisi del calcio italiano.

Non cerchiamo attenuati o scusanti se abbiamo perso contro l’Uruguay, l’espulsione di Marchisio e quella mancata di Suarez per il morso dato a Chiellini, (con conseguenziale squalifica per nove  giornate e quattro mesi ai danni dell’attaccante uruguayano), sono fattori marginali, per una nazionale quattro volte campione del mondo, il quale a parte i primi quarantacinque minuti dell’esordio mondiale contro l’Inghilterra, non si è mai vista in gioco ed è apparsa impaurita e priva d’iniziativa.

Una squadra quella di Prandelli, apparsa evidentemente intimorita dagli avversari, mai in partita, con i giovani esordienti, apparsi impegnati in una semplice partitella di campionato di terza divisione, che in un torneo di rilevanza mondiale, i quali a parte Verratti e Darmian, unici due degni di nota, sono apparsi inconcludenti e non proattivi.

L’Italia che abbiamo visto non è un demerito dell’allenatore, ma bensì il prodotto dello stato di salute del calcio italiano.
I club non investono nel vivaio e danno sempre più spazio ai titolati calciatori stranieri, che si contendono i posti da titolare, nelle più blasonate società calcistiche italiane.

Per una volta non scarichiamo la colpa sull’allenatore, il quale ha dovuto modellare un gruppo, con la materia prima che gli hanno messo a disposizione, avendo in attacco una sola punta di peso Mario Ballotelli, il quale non è mai apparso brillante, (a parte il gol fatto contro l’Inghilterra) non solo contro l’Uruguay ma anche con la Costa Rica, abbiamo visto un attaccante demotivato, ed incapace di trascinare l’Italia verso il successo, ma anche isolato da un centrocampo inesistente.

Già la Costa Rica quella dannata partita il quale “must” era vincere, per qualificarsi senza troppe complicazioni, ma siamo apparsi evidentemente intimoriti da una squadra tecnicamente inferiore, la quale è apparsa tatticamente più organizzata degli azzurri, sfruttando al meglio la gestione del pressing e le ripartenze in contropiede.

Con l’Uruguay invece, avendo due risultati utili per il passaggio del turno, l’approccio tattico ed agonistico, è stato simile ad un ragioniere il quale dedito alla redazione di un bilancio societario, ha cercato di massimizzare il profitto con il minimo sforzo, parafrasando l’Italia ha giocato appunto per il minimo risultato che l’avrebbe fatto qualificare per il passaggio del turno, ovvero il pareggio.

Una nazionale con ambizioni di vittoria, non può sicuramente giocare al risparmio, ma deve senz’altro spendere tutte le proprie energie giocando ogni partita come fosse l’ultima, dentro o fuori, senza troppi calcoli e tatticismi.

Assumiamoci le proprie responsabilità e onestamente diciamo che la nazionale italiana di calcio, è il prodotto speculare delle scelte delle società calcistiche italiane.

Fino a quando non ci sarà una inversione di tendenza e s’investirà sul vivaio dei giocatori italiani, potremo assistere a molteplici cambi di commissari tecnici, ma con risultati che difficilmente si discosterebbero da quanto già prodotto.

Davide Lombino

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