Shoah un ricordo sbiadito nella mente distolta di molti, Ebrei in fuga dalla Francia dopo la strage di Charlie Hebdo

I terribili fatti di Parigi, lasciano intravedere uno scenario vecchio, ma paradossalmente mai dimenticato e perpetrato negli anni.

A distanza di settanta anni dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, e gli sforzi fatti da tutta l’Europa per non dimenticare l’eccidio di sei milioni di Ebrei innocenti, l’antisemitismo e l’odio razziale sembra essere ancora vivo e perpetrato dalle nuove generazioni, come un obiettivo militare da raggiungere e abbattere a qualsiasi costo.


La comunità ebraica francese che conta circa 500mila persone, dopo la strage di Charlie Hebdo, è stata assalita da una profonda paura, che riporta col pensiero alla deportazione ebraica nei lager europei, ad opera dei gendarmi facenti parte del nazional-socialismo tedesco.

A seguito di questi avvenimenti la comunità ebraica non si sente più sicura in territorio francese, visto anche il costante crescere della comunità musulmana che in Francia è rappresentata da circa 6 milioni di persone.

Nel 2014 circa 7mila Ebrei hanno lasciato la nazione per emigrare verso il proprio paese di origine, trasferendosi esattamente in quel fazzoletto di terra compreso tra Gerusalemme e Tel Aviv.

Nel 2015 la stima degli Ebrei che lasceranno il territorio francese, sarà ancora più alta circa 10mila persone emigreranno verso Israele, sentendosi fortemente minacciati dalla cospicua comunità musulmana, è fortemente esposti agli attentati terroristici, che negli ultimi anni hanno visto morire persone ebraiche innocenti.

L’ondata di antisemitismo negli ultimi anni ha ripreso forte vigore non solo in Francia, ma anche in altri paesi europei come Germania e Grecia, anche in Russia c’è una costante crescita di gruppi composti da giovani neonazisti antisemiti.

La creazione di leggi antirazziali più severe, auspicata da tanti, potrebbero essere una soluzione utile a creare deterrente, ma non risolverebbe il problema di base.

Bisogna fare di più, in termini di sensibilizzazione da parte della gente ai problemi razziali ed antisemiti, bisogna lavorare centralmente coinvolgendo tutti i paesi appartenenti all’U.E. affinché si possano incrementare la sicurezza e l’incolumità delle persone, cooperando ad una politica sociale di convivenza tra i popoli che risiedono in Europa.

Bisogna lavorare per garantire la sussistenza delle comunità ebraiche, che stabilmente risiedono in Europa, ma soprattutto bisogna esigere maggiori controlli alle dogane, e minore aperture delle frontiere doganali, anche verso chi emigra dal proprio paese in cerca di maggior fortuna.

Tutto ciò non per intolleranza razziale, ma bensì per avere un maggiore controllo sulla popolazione che risiede stabilmente sul territorio continentale, e fronteggiare adeguatamente problemi che possono assumere misure fuori controllo (Terrorismo, razzismo, intolleranze religiose).

C’è chi penserà leggendo questo articolo, che posso essere una persona troppo risolutiva, ma la risolutezza tante volte può portare a benefici, i quali possono giovare ad un numero di persone di gran lunga superiore, rispetto a quelli derivanti da un approccio meno drastico al problema.

Non possiamo più ignorare che il terrorismo in Europa, (ma anche nel mondo, direi) sta sfuggendo realmente al controllo dei governi.

Globalizzazione significa anche coesione tra popoli diversi, i quali cooperano al fine di una pacifica convivenza comune, ma se la causa non produce gli effetti sperati, bisogna trovare un approccio diverso al problema, probabilmente meno sobrio, come farebbe un medico con un ammalato.

Personalmente non ritengo che la globalizzazione sia un male, ma sicuramente penso che la politica globale attuata in campo di immigrazione, sicurezza sociale e convivenza pacifica fra i popoli, debba essere drasticamente rivista al fine di adeguarla alla causa per la quale e stata posta in essere, e coerentemente al progetto iniziale, sia pienamente perseguita in ogni obiettivo originariamente preposto.  

Davide Lombino

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